giovedì 17 dicembre 2009

Un coglione per coglioni

Travaglio? " Il Monico Lewinsky di Di Pietro".

La vita è troppo breve per passarla in compagnia di un altro articolo su Marco Travaglio, chiedo scusa a tutti: ma il presunto collega è ormai ridotto a un caso inumano e insomma va così, tocca di nuovo occuparcene anche perché ora il cabarettista del Travaglino dovrà scegliere tra il ricevere una querela (un’altra) o un calcio nel sedere da parte del sottoscritto.


Già, perché il noto diffamatore, il Monico Lewinsky di Antonio Di Pietro, sull’Unità di ieri ha sbroccato: dopo una serie di battute scompiscevoli tipiche sue («diffamare Previti è reato impossibile», che sagoma) il tristo individuo ha lamentato che il Giornale, nella persona del sottoscritto, «ha sbattuto la mia sentenza in prima pagina» (il dispositivo, Marco, non la sentenza) e questo, attenzione, «dopo aver nascosto le sue», di sentenze, cioè le mie, le quali corrisponderebbero a «una caterva di processi persi, con abbondanti risarcimenti ai danni dei pm di Mani pulite per le balle diffamatorie che lui rovescia loro addosso da una vita».

Allora, il mio casellario giudiziale, semplicemente, non riporta nessuna condanna penale per querela dei pm di Mani pulite.

E neppure per querela di altri magistrati amici suoi.

Denunce del pool di Mani pulite ne ho avute diverse, di Antonio Di Pietro addirittura decine: tutte chiuse, vinte, archiviate, prescritte, in rari casi transate (decisione non mia) e comunque senza resipiscenza: non mi sono mai prostrato ai piedi di un querelante come invece fece Travaglio coll’amico Antonio Socci (febbraio 2008) affinché ritirasse la denuncia: «Riconosco di aver ecceduto usando toni e affermazioni ingiuste rispetto alla sua serietà e competenza professionale, e di ciò mi scuso anche pubblicamente con lui» scrisse sull’Unità.


Il sottoscritto ebbe, semmai, una denuncia per calunnia da parte del solito Di Pietro (pena sino a sei anni) il quale sosteneva che una serie di miei scritti, a metà degli anni Novanta, avevano originato alcune delle inchieste bresciane che nel 1996 l’avevano costretto a dimettersi dal ministero dei Lavori pubblici.

Finì così: il tribunale decise infine il non luogo a procedere (presenti per nove ore Di Pietro e il sottoscritto) dopo aver stabilito che in effetti Di Pietro aveva ragione, gli scritti avevano ispirato parte delle inchieste: ma anziché chiamarlo reato lo chiamarono giornalismo.

Può addirittura succedere che siano dei magistrati a sbirciare quello che scrivi tu: e non solo viceversa.

Ancora un episodio, se non dispiace.

L’ente turistico di Cortina, nel 2004, cercò di organizzare un dibattito con ospiti Travaglio, Giancarlo Caselli, Piercamillo Davigo e Filippo Facci: ma Davigo disse che con me non voleva dibattere, perché in passato mi aveva querelato.

O io o lui.

Se fosse mancato Davigo sarebbe mancato anche Caselli, sicché l’ebbe vinta e con il sostegno di Travaglio: «Se fossi un giudice, e un giornalista mi accusasse di crimini inesistenti, forse farei lo stesso», disse secondino.

Bene: ma di che querela si trattava?

Ecco la storiella. Davigo
, nel 1982, arrestò un avvocato per traffico d’armi e lo tenne dentro per sei mesi.

Le conseguenze furono orribili: il fratello dell’avvocato, pure arrestato, uscì di senno e fisicamente fu devastato, perse i capelli e addirittura le ciglia degli occhi: la compagna di questo avvocato, dopo l’arresto, si dileguò; il figlio di questo avvocato, l’unico figlio, si suicidò.

Quali? Tutti e nessuno. Abbiamo visto un Di Pietro interventista su Alitalia: ma alla fine, tra hostess e operatori di volo, auspicava arresti per tizio e caio.

È sceso in piazza al fianco dei cobas della scuola, davanti al ministero della Gelmini.

È stato ad Anagni dai cassintegrati della Videocon.

Si muove, ma non fa sempre notizia.

Un Di Pietro che non parla di giustizia pare poco credibile: da qui, quando il gioco si fa duro, il richiamo della foresta e lo spauracchio di un’eterna Tangentopoli.

Basta aprire il sito dell’Italia dei valori e cioè di Di Pietro, in home page: «Contro il Lodo Alfano», «sette proposte per la sicurezza e la giustizia», «giornata nazionale della legalità», «proposte di legge per la certezza della pena», «tutti uguali davanti alla legge», «comuni trasparenti», «Processo Berlusconi-Mills, video», «la mia storia attraverso le sentenze», «la mia storia attraverso Tangentopoli», «intervista su Tangentopoli»: più testi e video immagini di un giornalista che almeno oggi piacerebbe non nominare, ma che di fatto è l’intellettuale di riferimento.