sabato 17 dicembre 2011

Finale del post precedente spiegato malissimo, ritento: una foto dovrebbe essere la copia fedele in 2D "di quello che è la realtà in 3D", ma abbiamo visto che già l'info alla sorgente (=sensore") non è un gran che, poi intervengono mille limiti e interpolazioni (nella CPU, per le quali, a proposito, ciascuna "casa madre" utilizza algoritmi differenti, in alcuni casi addirittura "macchina per macchina") che peggiorano ulteriormente il risultato finale.

Il singolo "risultato finale" è un singolo pixel cui attribuiamo una determinata "qualità/quantità" di colore come "media pesata" dei valori adiacenti nella matrice: in due parole, non è "la realtà", bensì una "media pesata" di un certo numero di pixel adiacenti, alcuni dei quali sono già a loro volta non-realtà, ma interpolazioni pesate di altri ancora.....

Come si può "vedere" quanto l'algoritmo sia "preciso"?

Se apro la finestra e fotografo una montagna al tramonto, il successivo confronto tra "realtà" e "matrice di colori interpolata" è praticamente inutile, poichè se un pixel che voleva "congelare" un "punto reale del cielo di un determinato colore rosa", in realtà "congela" un'altra tonalità di rosa perchè "interpolato" tra altri pixel,  per il nostro occhio e per l'insieme dell'immagine cambia abbastanza poco.

"Cambia poco" innanzitutto perchè stiamo "congelando" una "realtà in movimento": se organizzassimo una serie di mille scatti consecutivi nel giro di pochi minuti, otterremmo mille immagini differenti, perchè istante per istante il "procedere del tramonto" modificherebbe tutti i colori di tutti i soggetti in gioco, allungherebbe le ombre, modificherebbe le nuvole, "farebbe entrare nella scena" soggetti, come un corvo in volo o un'ape, che inizialmente non ne facevano parte, e via dicendo.

In altre parole, "quanto preciso sia il sensore" non lo sapremo mai, e, almeno in questa "scena congelata con il singolo scatto (uno dei mille)", poco ci interessa.

Se però "appendiamo al muro" un testo in "Arial 36 colorato", per di più "illuminato stabilmente in studio", e poi lo fotografiamo altrettante mille volte consecutive, non siamo di fronte ad una "realtà in movimento", ma ad una realtà "fissa" in cui dimensioni, proporzioni e colori rimangono inalterati dal primo al millesimo scatto.

In questo caso ogni minima "sbavatura" tra uno e gli altri scatti, soprattutto se adeguatamente "ingrandita", balza subito all'occhio, essendo "fissa nel tempo (e nota a priori)" l'immagine "reale" di riferimento, quella che vorremmo vedere nel raw/jpg finale.

In questo caso ha un senso il "confronto diretto" tra la realtà che vorremmo "congelare in uno scatto" della nostra macchina fotografica, e il risultato "che ne esce" nel raw o jpg finale, quest'ultimo frutto di una scarsa informazione iniziale e di mille interpolazioni successive.